LA GRANDINE – DANNI ALLA VEGETAZIONE
E’ inevitabile che la grandine provochi rotture, lacerazioni e ferite di varia entità in relazione alle modalità con cui si è verificata. Chicchi piccoli frammisti ad acqua normalmente recano i minori danni.
La profondità delle ferite, è funzione della violenza dei colpi, sebbene l’angolo di incidenza della traiettoria dei chicchi abbia grande importanza.
I danni
Nel caso di vigneti allevati a spalliera, i danni possono interessare una sola parte del filare, oppure, come più raramente accade, entrambe o, nel peggiore dei casi, in cui l’intensità e la durata della precipitazione siano state tali da recidere tutta la parte epigea di nuova formazione. Quando le ferite interessano solamente una parte della massa vegetativa, la loro profondità influisce differentemente sulla resistenza meccanica dei tralci, (tanto più saranno fessurati, tanto più facilmente si potranno rompere nell’anno successivo). Parlando di ferite, si fa ovviamente riferimento ai germogli, alle nervature e alle foglie. I danni si rilevano più agevolmente alcuni giorni dopo la grandinata poiché le lesioni diventano brune.
Nel caso del lembo dei pampini, ogni colpo provoca una lacerazione e, se ripetuto, il distacco di parte della foglia. Ne consegue la riduzione della superficie fotosintetizzante.
Nel caso più lieve, la pianta non accusa particolarmente l’evento in quanto, seppur con le foglie lacerate queste continuano per la gran parte della loro superficie ad elaborare sostanze: l’attività non si interrompe.
Nel caso più sfortunato in cui le numerose ferite e la grande perdita di massa elaborante riduca le potenzialità della pianta, è probabile che si verifichi un arresto del ciclo, con conseguenze sicuramente negative in quanto influenti sulla normale evoluzione fenologica. In tale circostanza, è opportuno considerare bene l’epoca e le condizioni vegetative delle piante al momento. Un aspetto da considerare sono le ripercussioni sulla formazione delle gemme ibernanti, con particolare riferimento alla definizione degli abbozzi fiorali propria dell’inizio estate. In poche parole l’effetto potrebbe essere quello di perdere quasi interamente la produzione per due anni consecutivi. Come operare in tale situazione? difficile dare delle risposte. Regole non ce ne sono. Ciò in base al fatto che non si verifica mai un caso identico all’altro tale da poter costituire un’esperienza assoluta di riferimento. Si è ripetutamente notato, tuttavia, che l’elemento più negativo è l’arresto fenologico che può durare parecchi giorni e quindi condizionare l’evoluzione ulteriore della pianta.
Interventi colturali
Al fine di prevenire il pericolo di una consistente alterazione del ciclo fenologico, le scelte possono essere di due tipi.
La prima, nel caso in cui la vegetazione risultasse ancora sufficiente, tanto da recepire lo stimolo dei nutrimenti fogliari che potranno essere appositamente distribuiti. Quando invece i residui dei lembi fossero assai ridotti e i germogli tanto compromessi da rendere problematica la futura potatura invernale, sarebbe preferibile la potatura drastica dell’intera massa.
La riduzione totale o consistente della parte di nuova formazione dell’anno pone la pianta in una condizione di particolare squilibrio ormonale e nutrizionale. L’attività radicale non trova quindi più un corrispondente interlocutore nella parte epigea. Superato quindi il momento di arresto innanzi accennato, l’attività vegetativa riprenderà partendo nuovamente dall’inizio. Questa potrà essere di maggiore vigoria se concentrata solo su poche gemme. La pianta si ritroverà all’inizio estate come in primavera all’inizio del germogliamento, però con una differenza importante: nel mese di aprile la nuova attività si è avvalsa anche delle sostanze di riserva accumulate nella precedente stagione, mentre nel mese di giugno o luglio, epoca dei maggiori danni alla parte vegetativa, la pianta ha già consumato in gran parte dette riserve senza averle ancora potute reintegrare in misura adeguata. Ne consegue, quindi la maggiore difficoltà di germogliamento, che si tradurrà in una superiore lentezza e irregolarità.
Edoardo Monticelli
Sequenza fotografica
Quando la vegetazione è nel pieno suo compimento, la grandinata causa più effetti negativi. Oltre le ferite più o meno profonde e le amputazioni, un grave danno è il disordine della vegetazione, la quale non riuscirà più a ricomporsi. Ne conseguiranno irregolarità delle cimature, microclimi favorevoli all’inoculo di Crittogame, irregolarità nella fisiologia della chioma.
Sulle singole foglie le lacerazioni possono essere molteplici e di varia entità. Tutto quanto si concretizza in una riduzione della superficie fotosintetizzante, ma non la sua potenzialità sull’unità di superficie esposta. Il danno complessivo deriverà pertanto dalla menomazione quantitativa.
Talvolta, quanto la grandine avviene nella prima decade di giugno, gli organi più esposti sono gli apici dei germogli. Non trattasi solo di una cimatura occasionale, ma le ferite sui meritalli sottostanti inibiranno i tempi di recupero dell’attività.
I germogli ormai induriti, sotto l’azione della grandine subiscono ferite profonde e permanenti. L’attività del germoglio tuttavia non si interrompe, pur subendo un rallentamento fenologico.
A seguito delle ferite estive, si notano nei mesi invernali le irregolarità sui tralci, a seguito delle quali l’opera di legatura diverrà molto difficoltosa. Al riguardo, i tralci più sottili sono meno esposti alla rottura.